21 settembre 2009
La mamma è sempre la mamma!… ma è ancora così vero…?
Non vi è dubbio che nel nostro Paese, più che in molti altri, anche in fase di disgregazione familiare sia la madre a rivestire un ruolo determinante: nella quasi totalità dei casi di separazione ella sarà la collocataria dei figli oltre che ovviamente l’affidataria (magari in via condivisa e non più esclusiva).
Per effetto di tutto questo, sempre la madre, percepirà il giusto contributo economico da parte del padre da destinare al mantenimento dei comuni figli e rimarrà con loro, quale che sia il suo titolo di proprietà, nella casa ex coniugale. Tutto ciò spesso senza procedere ad alcun reale approfondimento o verifica delle sue concrete risorse e competenze genitoriali.
Questo ruolo così determinante e centrale, attribuito in ogni caso alla Mamma successivamente la separazione, dovrebbe essere la conseguenza di abitudini socialmente diffuse e dovrebbe rispecchiare quello che comunque accadrebbe se la separazione non fosse: se prima era lei ad occuparsi di tutto, così sarà anche dopo.
Ma è ancora così vero che nella famiglia come oggi concepita e vissuta, è la madre a fungere da unico perno dell’organizzazione domestica e della gestione e crescita dei figli?
Piuttosto, guardandosi intorno, sembra vero il contrario e cioè che sono ben poche le famiglie in cui il ruolo genitoriale – considerato come quantità e qualità del tempo – è affidato alla sola madre che anzi, nella maggior parte dei casi, lavora a tempo pieno, così di fatto delegando a terzi tutti i concreti e quotidiani incombenti afferenti i figli e la casa.
Se infatti, e paradossalmente, si dovesse procedere ad affidare i figli dei separandi ai soggetti che realmente se ne occupano nell’arco della giornata, si giungerebbe a risultati strabilianti, tutti a favore di eserciti di nonni e tate ma anche di una nuova generazione di padri decisamente più consapevoli e presenti, e affatto simili a quel modello di genitore di cui alle passate generazioni.
Sono infatti moltissimi i padri che accompagnano quotidianamente a scuola i figli, che li conducono alle attività ricreative/sportive, che partecipano ai colloqui o alle riunioni delle scuole, che cambiano i figli neonati, che si svegliano in periodo di allattamento per dare il biberon, che preparano da mangiare per sé, per la moglie per i figli e molto altro…
A fronte di ciò, non ci si può non domandare perché, nelle aule di giustizia, di fatto si continui ad applicare alla famiglia separata un “automatismo di ruoli” NON PIÙ ATTUALE…
- Forse questa operazione tesa ad attribuire alla madre sempre e comunque un ruolo centrale nell’educazione dei figli è svolta per così dire aprioristicamente, quale conseguenza di una consuetudine sociale dura a morire, anche in capo ai soggetti più insospettabili…?
- Oppure è considerata conseguenza automatica di una non meglio precisata predisposizione legata all’appartenenza di genere…?
- Oppure ancora segue all’impossibilità di procedere – nell’ambito di un percorso giudiziario e nonostante la presenza di consulenti specializzati, d’Ufficio e di parte – a maggiori approfondimenti e differenziazioni (è vero poi che spesso sono i mezzi ed il tempo a mancare, non la volontà del singolo Magistrato)?
Se invece ciò fosse possibile e se davvero si prendessero decisioni avendo riguardo al caso concreto, a quella specifica famiglia e a quel particolare nucleo familiare, allora forse si potrebbe anche condurre le Corti – con i tempi che competono alla Giurisprudenza che necessariamente segue il costume sociale, non lo determina – a favorire una miglior giustizia collettiva, a cominciare da quella familiare…